I nomadi digitali e il vino

Tra i cambiamenti che la pandemia da Covid-19 potrà lasciare in modo strutturale nelle nostre vite alcuni riguarderanno sicuramente il modo di lavorare. Diversi studi stanno già ipotizzandoil parziale svuotamento delle città o, perlomeno, dei quartieri legati agli affari e agli uffici, con aziende che incentiveranno e renderanno comune il lavoro a distanza di molti dipendenti e collaboratori, con effetti anche sui salari e la contrattazione.


Ho letto in proposito un interessantissimo articolo su come il c.d. “smart work” stia cambiando le prospettive di alcune destinazioni turistiche, che si stanno attrezzando per offrire servizi dedicati a tutte quelle persone che, non essendo vincolate ad un ufficio, potranno essere libere di scegliersi il luogo dove lavorare. Quindi, perché non farlo in una località diversa e, possibilmente, piacevole?

“Il lavoro da remoto e il nomadismo digitale sono e saranno tra i trend più importanti del prossimo decennio. I paesi possono attrarre talenti e beneficiare di una sorta di turismo lento da parte di persone disposte a rimanere per un periodo di tempo più lungo, contribuendo a compensare il forte calo delle entrate del turismo leisure” scrive l’autore.

“Spesso, poi, questi lavoratori ‘da remoto’ hanno un potere d’acquisto più alto del turista medio e spendono di più senza causare l’impatto negativo del turismo di massa”.

Già ora, durante i diversi lockdown, abbiamo visto modificarsi i consumi di vino e i canali di vendita, come rilevato in più occasioni da Wine Intelligence:

  • aumento delle vendite per asporto o attraverso e-commerce
  • riduzione delle occasioni di consumo sociali, tipo quelle alla fine della giornata lavorativa nei locali degli aperitivi
  • crescita conseguente delle occasioni e della frequenza di consumo fra le mura domestiche, non necessariamente legate ai pasti

Possiamo quindi ipotizzare che i nomadi digitali, ossia coloro che sceglieranno di trovare nuove sedi per le loro attività lavorative a distanza, sposteranno anche i loro consumi di vino? Se si, come immagino, bisognerà trovarsi pronti a capire come rispondere a questi bisogni emergenti, in quanto non è detto che molte di queste destinazioni “turistiche” siano già attrezzate e servite da una distribuzione qualificata o ben assortita.

Allo stesso tempo, molte aziende vinicole, con i loro resort e agriturismi che, inevitabilmente, soffriranno per l’assenza di significativi flussi turistici leisure, potranno predisporre offerte specifiche per smart workers che trovino nelle campagne e nelle colline vitate luoghi adatti per trasferirsi?

Tra i cambiamenti che la pandemia da Covid-19 potrà lasciare in modo strutturale nelle nostre vite alcuni riguarderanno sicuramente il modo di lavorare. Diversi studi stanno già ipotizzandoil parziale svuotamento delle città o, perlomeno, dei quartieri legati agli affari e agli uffici, con aziende che incentiveranno e renderanno comune il lavoro a distanza di molti dipendenti e collaboratori, con effetti anche sui salari e la contrattazione.


Ho letto in proposito un interessantissimo articolo su come il c.d. “smart work” stia cambiando le prospettive di alcune destinazioni turistiche, che si stanno attrezzando per offrire servizi dedicati a tutte quelle persone che, non essendo vincolate ad un ufficio, potranno essere libere di scegliersi il luogo dove lavorare. Quindi, perché non farlo in una località diversa e, possibilmente, piacevole?

“Il lavoro da remoto e il nomadismo digitale sono e saranno tra i trend più importanti del prossimo decennio. I paesi possono attrarre talenti e beneficiare di una sorta di turismo lento da parte di persone disposte a rimanere per un periodo di tempo più lungo, contribuendo a compensare il forte calo delle entrate del turismo leisure” scrive l’autore.

“Spesso, poi, questi lavoratori ‘da remoto’ hanno un potere d’acquisto più alto del turista medio e spendono di più senza causare l’impatto negativo del turismo di massa”.

Già ora, durante i diversi lockdown, abbiamo visto modificarsi i consumi di vino e i canali di vendita, come rilevato in più occasioni da Wine Intelligence:

  • aumento delle vendite per asporto o attraverso e-commerce
  • riduzione delle occasioni di consumo sociali, tipo quelle alla fine della giornata lavorativa nei locali degli aperitivi
  • crescita conseguente delle occasioni e della frequenza di consumo fra le mura domestiche, non necessariamente legate ai pasti

Possiamo quindi ipotizzare che i nomadi digitali, ossia coloro che sceglieranno di trovare nuove sedi per le loro attività lavorative a distanza, sposteranno anche i loro consumi di vino? Se si, come immagino, bisognerà trovarsi pronti a capire come rispondere a questi bisogni emergenti, in quanto non è detto che molte di queste destinazioni “turistiche” siano già attrezzate e servite da una distribuzione qualificata o ben assortita.

Allo stesso tempo, molte aziende vinicole, con i loro resort e agriturismi che, inevitabilmente, soffriranno per l’assenza di significativi flussi turistici leisure, potranno predisporre offerte specifiche per smart workers che trovino nelle campagne e nelle colline vitate luoghi adatti per trasferirsi?