Giovani consumatori confusi

Il linguaggio del vino: un nuovo approccio per avvicinare le persone

Nel periodo tra il 2001 e il 2006 (un’altra era geologica!), ho avuto il piacere di collaborare come degustatore per la Guida Vini d’Italia del Gambero Rosso, un’esperienza che mi ha immerso nel mondo del vino e della critica enologica prima di entrare nel settore come professionista. Tuttavia, con il passare del tempo, mi sono reso conto che il linguaggio utilizzato per descrivere i vini stava diventando sempre più astratto e distante. Descrivere un vino con termini come “profumo di semi di mela” o “sapore di fave Tonka” sembrava per me trasformarsi in un esercizio sterile e poco efficace, sicuramente noioso. Con il tempo ho avuto via via conferma di come questo approccio rischiava di creare una barriera tra il vino e il pubblico, rendendo l’esperienza di degustazione un privilegio per pochi eletti.

Suggerisco di leggere in merito un eccellente post di Priscilla Hennekam pubblicato su Linkedin (e la discussione competente e concreta che ne è seguita) in cui si chiede se bisogna ripensare alle note di degustazione e al loro effetto reale sui consumatori e che mi ha stimolato a scrivere queste riflessioni.

La necessità di un linguaggio più accessibile

Il linguaggio del vino è diventato, negli anni, una sorta di codice esoterico che solo gli iniziati possono decifrare. Descrivere i vini con dettagli iper-specifici può risultare affascinante per gli esperti, ma rischia di alienare i neofiti. Chi si avvicina al mondo del vino per la prima volta, spesso si sente intimidito e scoraggiato da descrizioni troppo tecniche e poco comprensibili. Questo fenomeno crea un muro invisibile che impedisce a molte persone di apprezzare appieno la bellezza e la complessità del vino.

Sono soprattutto i giovani a sentirsi esclusi, mentre altre bevande alcoliche e non risultano, invece, rassicuranti ed entusiasmanti. Il risultato è che, oggi, il vino è solo una delle alternative tra le bevande che un ventenne o trentenne sceglie, in determinate occasioni. Siamo riusciti a far sentire il vino come un prodotto di cui “leggere il libretto delle istruzioni” prima di stapparne una bottiglia! Infatti, solo ora che hanno superato i 30 anni, stanno facendosi una famiglia e hanno un lavoro un po’ più stabile, i giovani della generazione Millennial stanno iniziando a consumare vino in modo più stabile, spendendo anche più dei loro genitori, sebbene con una frequenza di consumo più occasionale.

Dobbiamo rassegnarci alla facile conclusione che il vino è un prodotto “per vecchi”? Forse si, ma se non facciamo nulla per coinvolgere maggiormente i giovani e mantenerli nella categoria, anche se come consumatori occasionali, rischiamo di spostare sempre più in avanti il momento, se mai verrà, dell’adozione del vino quale bevanda preferita e responsabile della maggior parte dei consumi alcolici di queste persone.

Raccontare le persone e le emozioni

Invece di concentrarsi esclusivamente sulle caratteristiche organolettiche del vino, è più efficace e coinvolgente raccontare le storie delle persone che lo producono e le emozioni che suscita. Ogni bottiglia di vino è il risultato del lavoro, della passione e della dedizione di vignaioli che mettono il cuore in ciò che fanno. Raccontare le loro storie, le tradizioni, le sfide affrontate e le innovazioni introdotte, rende il vino più umano e accessibile. Ma, siccome il settore del vino non è fatto solo da piccoli artigiani, un altro aspetto fondamentale è l’emozione legata al momento della degustazione.

Un vino può evocare ricordi, sensazioni e stati d’animo che vanno oltre il semplice gusto. Descrivere l’emozione di degustare un vino in una serata d’estate, in compagnia di amici, può essere molto più coinvolgente e significativo che parlare di note di cassis o di cuoio. La perdita di “sacralità” perché si imbottiglia il vino con un tappo a vite oppure si crea un packaging dai colori sgargianti e poco “tradizionali” potrebbe essere compensata da una più ampia penetrazione in un segmento viceversa distratto da altri prodotti e brand. Non dimentichiamo che, purtroppo, la soglia dell’attenzione delle persone si sta restringendo, con il risultato di vedere la comunicazione del vino limitata a pochi caratteri (o numeri in centesimi!) e alle sole immagini.

Serve un nuovo linguaggio per un nuovo pubblico?

Si legge sempre più spesso che è tempo di adottare un linguaggio più semplice, diretto ed emozionale. Un linguaggio che non escluda, ma includa. Che non alieni, ma avvicini. Un linguaggio che permetta a chiunque, indipendentemente dal livello di conoscenza enologica, di apprezzare e godere di un buon bicchiere di vino. Raccontare storie, emozioni e persone può trasformare l’esperienza del vino in qualcosa di universale e condivisibile.

Più facile da dirsi che da farsi, ma il mondo del vino ha bisogno di un cambiamento nel modo in cui comunica. Un cambiamento che renda il linguaggio più accessibile e inclusivo verso le giovani generazioni e tutti quei consumatori, attuali e potenziali, dei mercati dove il vino non è un prodotto tradizionalmente presente sulle tavole di casa o nella maggior parte delle occasioni fuori casa. Solo così si potrà abbattere quel muro che oggi separa molti potenziali appassionati da questo mondo affascinante e complesso.

Nel periodo tra il 2001 e il 2006 (un’altra era geologica!), ho avuto il piacere di collaborare come degustatore per la Guida Vini d’Italia del Gambero Rosso, un’esperienza che mi ha immerso nel mondo del vino e della critica enologica prima di entrare nel settore come professionista. Tuttavia, con il passare del tempo, mi sono reso conto che il linguaggio utilizzato per descrivere i vini stava diventando sempre più astratto e distante. Descrivere un vino con termini come “profumo di semi di mela” o “sapore di fave Tonka” sembrava per me trasformarsi in un esercizio sterile e poco efficace, sicuramente noioso. Con il tempo ho avuto via via conferma di come questo approccio rischiava di creare una barriera tra il vino e il pubblico, rendendo l’esperienza di degustazione un privilegio per pochi eletti.

Suggerisco di leggere in merito un eccellente post di Priscilla Hennekam pubblicato su Linkedin (e la discussione competente e concreta che ne è seguita) in cui si chiede se bisogna ripensare alle note di degustazione e al loro effetto reale sui consumatori e che mi ha stimolato a scrivere queste riflessioni.

La necessità di un linguaggio più accessibile

Il linguaggio del vino è diventato, negli anni, una sorta di codice esoterico che solo gli iniziati possono decifrare. Descrivere i vini con dettagli iper-specifici può risultare affascinante per gli esperti, ma rischia di alienare i neofiti. Chi si avvicina al mondo del vino per la prima volta, spesso si sente intimidito e scoraggiato da descrizioni troppo tecniche e poco comprensibili. Questo fenomeno crea un muro invisibile che impedisce a molte persone di apprezzare appieno la bellezza e la complessità del vino.

Sono soprattutto i giovani a sentirsi esclusi, mentre altre bevande alcoliche e non risultano, invece, rassicuranti ed entusiasmanti. Il risultato è che, oggi, il vino è solo una delle alternative tra le bevande che un ventenne o trentenne sceglie, in determinate occasioni. Siamo riusciti a far sentire il vino come un prodotto di cui “leggere il libretto delle istruzioni” prima di stapparne una bottiglia! Infatti, solo ora che hanno superato i 30 anni, stanno facendosi una famiglia e hanno un lavoro un po’ più stabile, i giovani della generazione Millennial stanno iniziando a consumare vino in modo più stabile, spendendo anche più dei loro genitori, sebbene con una frequenza di consumo più occasionale.

Dobbiamo rassegnarci alla facile conclusione che il vino è un prodotto “per vecchi”? Forse si, ma se non facciamo nulla per coinvolgere maggiormente i giovani e mantenerli nella categoria, anche se come consumatori occasionali, rischiamo di spostare sempre più in avanti il momento, se mai verrà, dell’adozione del vino quale bevanda preferita e responsabile della maggior parte dei consumi alcolici di queste persone.

Raccontare le persone e le emozioni

Invece di concentrarsi esclusivamente sulle caratteristiche organolettiche del vino, è più efficace e coinvolgente raccontare le storie delle persone che lo producono e le emozioni che suscita. Ogni bottiglia di vino è il risultato del lavoro, della passione e della dedizione di vignaioli che mettono il cuore in ciò che fanno. Raccontare le loro storie, le tradizioni, le sfide affrontate e le innovazioni introdotte, rende il vino più umano e accessibile. Ma, siccome il settore del vino non è fatto solo da piccoli artigiani, un altro aspetto fondamentale è l’emozione legata al momento della degustazione.

Un vino può evocare ricordi, sensazioni e stati d’animo che vanno oltre il semplice gusto. Descrivere l’emozione di degustare un vino in una serata d’estate, in compagnia di amici, può essere molto più coinvolgente e significativo che parlare di note di cassis o di cuoio. La perdita di “sacralità” perché si imbottiglia il vino con un tappo a vite oppure si crea un packaging dai colori sgargianti e poco “tradizionali” potrebbe essere compensata da una più ampia penetrazione in un segmento viceversa distratto da altri prodotti e brand. Non dimentichiamo che, purtroppo, la soglia dell’attenzione delle persone si sta restringendo, con il risultato di vedere la comunicazione del vino limitata a pochi caratteri (o numeri in centesimi!) e alle sole immagini.

Serve un nuovo linguaggio per un nuovo pubblico?

Si legge sempre più spesso che è tempo di adottare un linguaggio più semplice, diretto ed emozionale. Un linguaggio che non escluda, ma includa. Che non alieni, ma avvicini. Un linguaggio che permetta a chiunque, indipendentemente dal livello di conoscenza enologica, di apprezzare e godere di un buon bicchiere di vino. Raccontare storie, emozioni e persone può trasformare l’esperienza del vino in qualcosa di universale e condivisibile.

Più facile da dirsi che da farsi, ma il mondo del vino ha bisogno di un cambiamento nel modo in cui comunica. Un cambiamento che renda il linguaggio più accessibile e inclusivo verso le giovani generazioni e tutti quei consumatori, attuali e potenziali, dei mercati dove il vino non è un prodotto tradizionalmente presente sulle tavole di casa o nella maggior parte delle occasioni fuori casa. Solo così si potrà abbattere quel muro che oggi separa molti potenziali appassionati da questo mondo affascinante e complesso.