Il marketing del vino può essere semplificato?

Vendere vino non è mai stato così semplice o così difficile, ma oggi è sicuramente più complesso.

A prima vista, la crescita della vendita di vino direttamente al consumatore e l’enorme numero di piattaforme su cui commercializzare vino fanno sembrare inevitabili l’attuale successo e la continua penetrazione del vino in molti mercati. Ma anche il numero di aziende vinicole continua a crescere, il che significa che la concorrenza è maggiormente agguerrita. E mentre il vino ultra-premium o icon (sopra i 30-40€ a bottiglia nell’asporto) continua a crescere, i segmenti di prezzo medio-basso devono affrontare sfide considerevoli a causa dell’aumento dell’età media dei consumatori di vino.

In che modo, in parole povere, i produttori possono rendere i loro vini più attraenti per le giovani generazioni, poiché perdono costantemente quote di mercato a causa di bevande miscelate (RTD), hard seltzer, cocktail alcolici, birra e tutto il resto? Se lo è chiesto Kathleen Willcox sul portale Wine-Searcher (https://www.wine-searcher.com/m/2022/04/wineries-overthinking-their-marketing-plans), articolo del quale presentiamo qui una sintesi con qualche nostra considerazione.

Keep it simple

Oggi la maggior parte della pianificazione di marketing del vino che vediamo in giro mira ad attirare nuovi consumatori differenziando la qualità dei vini (seguendo soprattutto schemi legati alla segmentazione dell’offerta e del portafoglio prodotti). Tuttavia, alcuni osservatori esortano l’industria a ripensare completamente e semplificare radicalmente le proprie strategie. Mentre le aziende vinicole spendono molto tempo e denaro per lanciare nuove etichette incentrate sulla qualità e sulla provenienza (più come operazione tattica che strategica), non è più certo che questi cambiamenti si tradurranno in vendite migliori, soprattutto tra i bevitori più giovani.

Le giovani generazioni di consumatori sono curiose ma intimidite dal vino, vogliono che sia smitizzato e semplificato per loro. Vogliono conoscere l’uva da cui è prodotto, la sostenibilità del marchio, le storie dietro il vino. Gravitano verso vini che i loro genitori non berrebbero mai, come il vino naturale, o il vino che ha un legame con le celebrità (attori, cantanti, personaggi pubblici…) e che sembra loro più familiare. Diversi studi dimostrano anche che i consumatori più giovani spesso sono attratti dall’aspetto dell’etichetta, privilegiando le scritte in rilievo, il contrasto cromatico elevato/l’abbondanza di colore inferiore e le texture delle etichette realizzate a mano. La maggior parte dei consumatori, in particolare i Millennial e la Generazione Z, cercano informazioni al momento dell’acquisto, cosa che in genere avviene tramite il packaging o utilizzando uno smartphone come mezzo di accesso alla conoscenza. Le categorie RTD e vino in lattina sono state parzialmente responsabili di questo spostamento, almeno su alcuni mercati esteri.

D’altro canto, il vino ancora non può e non deve ignorare le sue radici storiche, soprattutto in Europa. Tuttavia, i tempi sono cambiati, e così anche i consumatori. Un produttore medio, il cui vino ha un prezzo di un decimo o un centesimo rispetto a un’etichetta proveniente da una delle Denominazioni iconiche, invece di puntare al modello del marketing aspirazionale, forse dovrebbe considerare un approccio più contemporaneo alla vendita del vino. Il Prosecco è un chiaro esempio di successo di questo approccio.

 

Un marketing più vicino a quello del Nuovo Mondo?

Il marketing del vino del Nuovo Mondo è probabilmente più semplice perché i produttori e le regioni qui sono sempre stati più iconoclasti, non avendo forti e consolidati legami storici con stili e territori. Dopo alcuni decenni in cui il Nuovo Mondo ha promosso quasi esclusivamente i vitigni, da alcuni anni ha iniziato ad ampliare i fattori sui quali incentrare la comunicazione del vino per attirare i consumatori, ad es. comunicando chiaramente i profili di gusto e le idee di abbinamento. Questo approccio di marketing, che si sta espandendo anche all’Europa, invece del classico abbinamento mette in luce ad es. il sapore e l’occasione: ad esempio un vino rosato può essere “vivace e divertente”, offrendo suggerimenti di abbinamento stravaganti come picnic tra amici o pomeriggi in piscina.

La sostenibilità è un’altra variabile di più recente introduzione. In questo caso, l’intera etichetta può essere incentrata sulla sostenibilità, dal packaging alla messaggistica, comprese le basse emissioni di carbonio e l’impronta idrica ridotta, il fatto che sia realizzata con materiale riciclato e, a sua volta, riciclabile. Il vino può essere ottenuto da uve certificate biologiche, anche con il minimo intervento.

Il vino deve essere più amichevole. Gli alcolici e la birra oggi stanno schiacciando il vino su questo fattore di scelta e stanno rendendo il vino, in confronto, una bevanda per occasioni speciali, invece che qualcosa di accessibile e divertente. Semplificare ciò che viene offerto al momento dell’acquisto è stato fatto molto bene dalla birra. In confronto, molti produttori e regioni vinicole hanno sistemi di classificazione straordinariamente complessi che possono persino confondere i professionisti.

Per vendere il vino in modo più efficace senza “vendere la propria anima”, secondo l’autrice dell’articolo, le regioni e i produttori dovrebbero dare la priorità a modi creativi per trasmettere qualità, sapore, provenienza, processo di produzione, storia e valori del marchio. Come detto, i consumatori più giovani vogliono storie, convenienza, sostenibilità. Sarà poi compito dei sommelier, dei rivenditori e dei produttori che fanno marketing portarli ad acquistare vini migliori mentre ne approfondiscono la conoscenza.

In Italia non possiamo modificare decine di anni di storia delle Denominazioni e non avrebbe senso cambiare improvvisamente gli stili di etichettatura per le bottiglie più pregiate. Ma il mercato di queste etichette è molto diverso da quello delle bottiglie nella fascia da 10-20 euro. Il vino ultra-premium si vende a coloro che lo conoscono (e possono permetterselo) e le qualifiche di qualità (come reputazione, premi e punteggi) sono intrinsecamente parte del pacchetto.

Cosa devono fare tutti gli altri? Cercare di adottare uno stile di marketing del vino che punti proprio alla semplicità.

Vendere vino non è mai stato così semplice o così difficile, ma oggi è sicuramente più complesso.

A prima vista, la crescita della vendita di vino direttamente al consumatore e l’enorme numero di piattaforme su cui commercializzare vino fanno sembrare inevitabili l’attuale successo e la continua penetrazione del vino in molti mercati. Ma anche il numero di aziende vinicole continua a crescere, il che significa che la concorrenza è maggiormente agguerrita. E mentre il vino ultra-premium o icon (sopra i 30-40€ a bottiglia nell’asporto) continua a crescere, i segmenti di prezzo medio-basso devono affrontare sfide considerevoli a causa dell’aumento dell’età media dei consumatori di vino.

In che modo, in parole povere, i produttori possono rendere i loro vini più attraenti per le giovani generazioni, poiché perdono costantemente quote di mercato a causa di bevande miscelate (RTD), hard seltzer, cocktail alcolici, birra e tutto il resto? Se lo è chiesto Kathleen Willcox sul portale Wine-Searcher (https://www.wine-searcher.com/m/2022/04/wineries-overthinking-their-marketing-plans), articolo del quale presentiamo qui una sintesi con qualche nostra considerazione.

Keep it simple

Oggi la maggior parte della pianificazione di marketing del vino che vediamo in giro mira ad attirare nuovi consumatori differenziando la qualità dei vini (seguendo soprattutto schemi legati alla segmentazione dell’offerta e del portafoglio prodotti). Tuttavia, alcuni osservatori esortano l’industria a ripensare completamente e semplificare radicalmente le proprie strategie. Mentre le aziende vinicole spendono molto tempo e denaro per lanciare nuove etichette incentrate sulla qualità e sulla provenienza (più come operazione tattica che strategica), non è più certo che questi cambiamenti si tradurranno in vendite migliori, soprattutto tra i bevitori più giovani.

Le giovani generazioni di consumatori sono curiose ma intimidite dal vino, vogliono che sia smitizzato e semplificato per loro. Vogliono conoscere l’uva da cui è prodotto, la sostenibilità del marchio, le storie dietro il vino. Gravitano verso vini che i loro genitori non berrebbero mai, come il vino naturale, o il vino che ha un legame con le celebrità (attori, cantanti, personaggi pubblici…) e che sembra loro più familiare. Diversi studi dimostrano anche che i consumatori più giovani spesso sono attratti dall’aspetto dell’etichetta, privilegiando le scritte in rilievo, il contrasto cromatico elevato/l’abbondanza di colore inferiore e le texture delle etichette realizzate a mano. La maggior parte dei consumatori, in particolare i Millennial e la Generazione Z, cercano informazioni al momento dell’acquisto, cosa che in genere avviene tramite il packaging o utilizzando uno smartphone come mezzo di accesso alla conoscenza. Le categorie RTD e vino in lattina sono state parzialmente responsabili di questo spostamento, almeno su alcuni mercati esteri.

D’altro canto, il vino ancora non può e non deve ignorare le sue radici storiche, soprattutto in Europa. Tuttavia, i tempi sono cambiati, e così anche i consumatori. Un produttore medio, il cui vino ha un prezzo di un decimo o un centesimo rispetto a un’etichetta proveniente da una delle Denominazioni iconiche, invece di puntare al modello del marketing aspirazionale, forse dovrebbe considerare un approccio più contemporaneo alla vendita del vino. Il Prosecco è un chiaro esempio di successo di questo approccio.

 

Un marketing più vicino a quello del Nuovo Mondo?

Il marketing del vino del Nuovo Mondo è probabilmente più semplice perché i produttori e le regioni qui sono sempre stati più iconoclasti, non avendo forti e consolidati legami storici con stili e territori. Dopo alcuni decenni in cui il Nuovo Mondo ha promosso quasi esclusivamente i vitigni, da alcuni anni ha iniziato ad ampliare i fattori sui quali incentrare la comunicazione del vino per attirare i consumatori, ad es. comunicando chiaramente i profili di gusto e le idee di abbinamento. Questo approccio di marketing, che si sta espandendo anche all’Europa, invece del classico abbinamento mette in luce ad es. il sapore e l’occasione: ad esempio un vino rosato può essere “vivace e divertente”, offrendo suggerimenti di abbinamento stravaganti come picnic tra amici o pomeriggi in piscina.

La sostenibilità è un’altra variabile di più recente introduzione. In questo caso, l’intera etichetta può essere incentrata sulla sostenibilità, dal packaging alla messaggistica, comprese le basse emissioni di carbonio e l’impronta idrica ridotta, il fatto che sia realizzata con materiale riciclato e, a sua volta, riciclabile. Il vino può essere ottenuto da uve certificate biologiche, anche con il minimo intervento.

Il vino deve essere più amichevole. Gli alcolici e la birra oggi stanno schiacciando il vino su questo fattore di scelta e stanno rendendo il vino, in confronto, una bevanda per occasioni speciali, invece che qualcosa di accessibile e divertente. Semplificare ciò che viene offerto al momento dell’acquisto è stato fatto molto bene dalla birra. In confronto, molti produttori e regioni vinicole hanno sistemi di classificazione straordinariamente complessi che possono persino confondere i professionisti.

Per vendere il vino in modo più efficace senza “vendere la propria anima”, secondo l’autrice dell’articolo, le regioni e i produttori dovrebbero dare la priorità a modi creativi per trasmettere qualità, sapore, provenienza, processo di produzione, storia e valori del marchio. Come detto, i consumatori più giovani vogliono storie, convenienza, sostenibilità. Sarà poi compito dei sommelier, dei rivenditori e dei produttori che fanno marketing portarli ad acquistare vini migliori mentre ne approfondiscono la conoscenza.

In Italia non possiamo modificare decine di anni di storia delle Denominazioni e non avrebbe senso cambiare improvvisamente gli stili di etichettatura per le bottiglie più pregiate. Ma il mercato di queste etichette è molto diverso da quello delle bottiglie nella fascia da 10-20 euro. Il vino ultra-premium si vende a coloro che lo conoscono (e possono permetterselo) e le qualifiche di qualità (come reputazione, premi e punteggi) sono intrinsecamente parte del pacchetto.

Cosa devono fare tutti gli altri? Cercare di adottare uno stile di marketing del vino che punti proprio alla semplicità.